BARBARA GAMPER,
artist
August, 26th 2022
ENG
Barbara Gamper is an Italian interdisciplinary artist, whose practice expands from movement, somatics, performance, moving image and textiles. The physical self embedded in an archive of personal experiences rooted in systemic power dynamics plays a central role in her research and artistic practice. Part of her everyday practice involves somatic explorations, which challenge systemic patterns humans internalize from socialization, in order to experience the body as a porous and fluid form - not ending at the skin - and to expand its experience in interconnection with other (human and non-human) materialities and ecologies. Barbara Gamper uses movement (embodiment) as a form of care and potential tool for (inter)personal and social transformation.
In 2016 she gained a master’s degree in Fine Art from Goldsmiths College, London and is currently studying on a three-year program in somatic pedagogy at the Somatic Academy Berlin.
ITA
Barbara Gamper è un'artista italiana, la cui pratica interdisciplinare si espande tra movimento, somatica, performance, immagine in movimento e tessuti.
Il sé fisico incorporato in un archivio di esperienze personali radicate in dinamiche di potere sistemico gioca un ruolo centrale nella sua ricerca e nella sua pratica artistica. Parte della sua pratica quotidiana prevede esplorazioni somatiche, che sfidano gli schemi sistemici che gli esseri umani interiorizzano dalla socializzazione, al fine di sperimentare il corpo come una forma porosa e fluida - che non si esaurisce nella pelle - e di espandere la sua esperienza in interconnessione con altre materialità ed ecologie (umane e non umane). Barbara Gamper utilizza il movimento (embodiment) come forma di cura e potenziale strumento di trasformazione (inter)personale e sociale.
Nel 2016 ha conseguito un master in Fine Art presso il Goldsmiths College di Londra e attualmente sta studiando in un programma triennale di pedagogia somatica presso la Somatic Academy di Berlino.
ENG
LZ: Clothes and textile objects that you use in your performative work go beyond the dimension of the costume or the stage object, becoming functional to an active dynamic of interaction and relationship with the body, both your body and that of the spectator. How would you describe this relationship, and what are you interested in happening in this moment of encounter and interaction, facilitated by the textile material?
What is your definition of body?
BG: I experience the body as an immensely intelligent multi-organism, a site of collaboration between different organisms, bacteria, microbes, our human cells, which die and renew themselves, containing and carrying forward memory that our cognitive self might not remember. The body for me is a site of exchange and transformation. The body holds the mind, and the mind equally holds the body. The human bodymind is always in relation, acting and reacting to its surroundings, metabolism and emotions.
During my MFA at Goldsmiths in London, I started to become more and more interested in participatory frames for performance. I tried to explore instructions, verbal or written, but felt it was too limiting and controlling rather than enabling and liberating. I wanted to create a frame which resembled a playground, a space for play and interactions to unfold freely, out of the participant’s desire, motivation and personal stories. As I was simultaneously starting to work with textiles, I realized that I conceived and made these objects intuitively to interact with the body - to lie down on them, to wear them and to interact with them. I therefore started to explore textiles as a way for participation and non-verbal play. They became transitional objects. Humans know innately how to use objects in relation to their bodies. And this is exactly what happened in the participatory performances that followed - people playing, interacting, folding themselves and the fabrics, creating spaces and dialogues via the objects and their own bodies. Language is one way of communicating, movement and gestures are another.
IT
LZ: Abiti e oggetti tessili che utilizzi nel tuo lavoro performativo vanno oltre la dimensione del costume o dell’oggetto di scena, diventando funzionali ad una dinamica attiva di interazione e relazione con il corpo, sia il tuo corpo sia quello dello spettatore. Come descriveresti questa relazione, e cosa ti interessa che accada in questo momento di incontro e confronto, facilitato dalla materia tessile?
Qual è la tua definizione di corpo?
BG: Vivo il corpo come un multiorganismo immensamente intelligente, un luogo di collaborazione tra organismi diversi, batteri, microbi, le nostre cellule umane che muoiono e si rinnovano, contenendo e portando avanti la memoria che il nostro io cognitivo potrebbe non ricordare. Il corpo per me è un luogo di scambio e trasformazione. Il corpo contiene la mente e la mente contiene allo stesso modo il corpo. Il corpomente umano è sempre in relazione, agisce e reagisce all'ambiente circostante, al metabolismo e alle emozioni.
Durante il mio MFA alla Goldsmiths di Londra ho iniziato a interessarmi sempre di più alle cornici partecipative della performance. Ho provato a esplorare le istruzioni, verbali o scritte, ma sentivo che erano troppo limitanti e impositive piuttosto che abilitanti e liberatorie. Volevo creare una cornice che assomigliasse a un parco giochi, uno spazio in cui il gioco e le interazioni si svolgessero liberamente, a partire dal desiderio, dalla motivazione e dalle storie personali dei partecipanti. Mentre iniziavo a lavorare con i tessuti, mi sono resa conto di aver concepito e realizzato questi oggetti in modo intuitivo per interagire con il corpo: per sdraiarmi su di essi, per indossarli e per interagire con essi. Ho quindi iniziato a esplorare i tessuti come strumento di partecipazione e di gioco non verbale. Sono diventati oggetti di transizione. Gli esseri umani sanno innatamente come utilizzare gli oggetti in relazione al proprio corpo. Ed è proprio questo che è successo nelle performance partecipative che sono seguite: le persone hanno giocato, interagito, piegandosi e piegando i tessuti, creando spazi e dialoghi attraverso gli oggetti e i loro stessi corpi. Il linguaggio è un modo di comunicare, il movimento e i gesti ne sono un altro.
ENG
LZ: Textiles have accompanied your research for several years. How did you approach the world of textiles and what techniques do you prefer?
BG: Textiles, in fact, found their way into my practice completely randomly and about ten years ago. I had worked with ephemeral media, dance, performance and moving image for a long time, but never really with materials besides the body as material and site for experience, exploration and process. A stronger desire and longing for materiality emerged in me. When I started my MFA I stumbled into the textiles and print laboratories, of them was constructed textiles one. It was in the attic of one of the university buildings, tucked away - stuffed with computerized knit machines, digital weaving looms, frames and handguns for tufting, different work samples covered the walls, the sound of the machines created a rhythm in there, people working in a calm and concentrated manner - there was an ambience of magic, secrecy and collaboration. I remember the exact feeling I had when I entered that space. I felt as if somebody put a spell on me. And I couldn‘t wait to get my hands on those machines, learn how to manoeuvre them to give new ways to my imagination, dive into a world of colour and matter. I started off with computerized knit but soon ventured into hand tufting using a hand tufting gun. It’s a carpet making technique and it still is my favourite. It is somehow similar to painting, a canvas stretched on a frame, the handgun with the yarn spun through like the brush. It takes weight and coordination to tuft with this machine, it’s a very physical process. This very process has brought me back to my own body in a new way. I delved into a process-led experience, following my instincts and intuition, colours, texture and shapes.
Since I left University I haven‘t made any new rug work. I have no access to the machinery for now. Therefore I mostly draw and design digitally and then outsource for printing digitally on fabric, mostly on a mix of natural unbleached linen and cotton.
IT
LZ: I tessuti accompagnano la tua ricerca da diversi anni. Come ti sei avvicinata al mondo del tessile e quali tecniche prediligi?
BG: I tessuti, infatti, sono entrati nella mia pratica in modo del tutto casuale circa dieci anni fa. Avevo lavorato a lungo con i media effimeri, la danza, la performance e l'immagine in movimento, ma mai con materiali diversi dal corpo inteso come materiale e luogo di esperienza, esplorazione e processo. È emerso in me un desiderio più forte di materialità. Quando ho iniziato il mio master mi sono imbattuta nei laboratori di tessuti e stampe, tra cui quello di tessuti costruiti. Si trovava nell'attico di uno degli edifici dell'università, nascosto, pieno di macchine computerizzate per la maglieria, telai per la tessitura digitale, telai e pistole a mano per il tufting; diversi campioni di lavoro coprivano le pareti, il suono delle macchine creava un ritmo lì dentro, le persone lavoravano in modo calmo e concentrato - c'era un'atmosfera di magia, segretezza e collaborazione. Ricordo l'esatta sensazione che ho provato entrando in quello spazio. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse fatto un incantesimo. E non vedevo l'ora di mettere le mani su quelle macchine, di imparare a manovrarle per dare nuove strade alla mia immaginazione, di tuffarmi in un mondo di colori e materia. Ho iniziato con la maglia computerizzata, ma presto mi sono avventurata nel tufting a mano, utilizzando una pistola per tufting. È una tecnica di produzione di tappeti e ancora oggi è la mia preferita. È in qualche modo simile alla pittura, una tela tesa su un telaio, la pistola a mano con il filo che gira come un pennello. Ci vuole peso e coordinazione per eseguire il tufting con questa macchina, è un processo molto fisico. Questo processo mi ha riportato al mio corpo in un modo nuovo. Mi sono immersa in un'esperienza guidata dal processo, seguendo i miei istinti e le mie intuizioni, i colori, la consistenza e le forme.
Da quando ho lasciato l'Università non ho più realizzato nessun nuovo lavoro con i tappeti. Per ora non ho accesso ai macchinari. Per questo motivo disegno e progetto principalmente in digitale e poi mi affido alla stampa digitale su tessuto, per lo più su un mix di lino naturale non sbiancato e cotone.
ENG
LZ: This year, you have been invited to participate in the Biennale Gardëina in Val Gardena, with a new production, commissioned by the Biennale. Can you tell us about this new project, entitled somatic encounters / earthly matter(s) You Mountain, You River, You Tree?
BG: Yes! It‘s been a very exciting journey. I feel this project has been significant for me, because the different strings in my practice started to really weave together: the body, participation, textiles, somatic experience, and translating contexts and research into practice.
I conceived an audio walk and three separate somatic meditations. The audio walk tells the geological story of the Dolomites and links to how humans are entangled within this history, who our deep time ancestors were, how traces of the primordial ocean are held in rock, stone and bone, and ultimately how the traces of the ocean are also remembered by our cells, our primordial memory, held in our bodily cells.
The three somatic meditations are guiding the participant through becoming water, plant and rock, to find personhood in natural elements, for a more equal and less exploitative relationship with nature - Earth not as mother, an indefinitely exploitable object- but as lover, an equal partner.
For each of these meditations I have created a sort of poem and drawings that each relate to organisms and their practices, which created life on the planet and still are indispensable from a functioning biodiverse ecosystem - sponges, moss and phytoplankton. Sponging, absorbing and releasing, transforming. The aim of the project is to use somatics in order to radically re-imagine ourselves, transform trauma and toxicity into healing and love - from micro to macro, from the personal to the structural, societal, collective. And here comes the textile - a second skin, a protection and shelter, a costume and disguise, a membrane, a painting, a testimony and archive of a moment in its story, folding itself into different types of landscapes, fading and weathering with time.
IT
LZ: Quest’anno sei stata invitata a partecipare alla Biennale Gardëina in Val Gardena, con una nuova produzione, commissionata dalla Biennale. Ci racconti di questo nuovo progetto, intitolato somatic encounters / earthly matter(s) You Mountain, You River, You Tree?
BG: Sì, è stato un viaggio molto emozionante. Sento che questo progetto è stato significativo per me, perché le diverse corde della mia pratica hanno iniziato a intrecciarsi davvero: il corpo, la partecipazione, i tessuti, l'esperienza somatica e la traduzione di contesti e ricerche nella pratica.
Ho concepito una passeggiata audio e tre meditazioni somatiche separate. La passeggiata audio racconta la storia geologica delle Dolomiti e si collega al modo in cui gli esseri umani sono coinvolti in questa storia, a chi erano i nostri antenati del tempo profondo, a come le tracce dell'oceano primordiale sono conservate nella roccia, nella pietra e nelle ossa e, infine, a come le tracce dell'oceano sono ricordate anche dalle nostre cellule, la nostra memoria primordiale, conservata nelle nostre cellule corporee.
Le tre meditazioni somatiche guidano il partecipante a diventare acqua, pianta e roccia, per trovare la propria personalità negli elementi naturali, per un rapporto più equo e meno sfruttato con la natura - la Terra non come madre, un oggetto indefinitamente sfruttabile, ma come amante, un partner alla pari.
Per ognuna di queste meditazioni ho creato una sorta di poesia e disegni che si riferiscono a organismi e alle loro pratiche, che hanno creato la vita sul pianeta e sono tuttora indispensabili per un ecosistema biodiverso funzionante: spugne, muschio e fitoplancton. “Spugnare”, assorbire e rilasciare, trasformare. L'obiettivo del progetto è usare la somatica per reimmaginare radicalmente noi stessi, trasformare il trauma e la tossicità in guarigione e amore - dal micro al macro, dal personale allo strutturale, alla società, al collettivo. E qui entra in gioco il tessuto: una seconda pelle, una protezione e un riparo, un costume e un travestimento, una membrana, un dipinto, una testimonianza e un archivio di un momento della sua storia, che si ripiega in diversi tipi di paesaggi, sbiadendo e subendo le intemperie del tempo.