ADELAIDE CIONI,
ARTIST
July, 16th 2020
ENG
Adelaide Cioni studied drawing at UCLA, Los Angeles, and holds a BA in Sculpture from the Academy of Fine Arts in Rome (2015). With an MA in contemporary history and a master’s degree in Literary Translation, for ten years she translated American literature (John Cheever, David Foster Wallace, Richard Ford). Adelaide Cioni’s artistic practice stems from drawing, and goes on to assume environmental dimensions, also by creating "textile paintings", in which the colour is translated into the materiality of fabric. Among the themes of her research are the relationship with space, memory and objects.
Her background as a translator of American literature emerges in the special attention she dedicates to language and to the nuances within the meaning of words.
ITA
Adelaide Cioni è nata nel 1976 a Bologna, ha studiato disegno a UCLA, Los Angeles, e si è diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma (2015).
Laureata in storia contemporanea, per dieci anni ha tradotto letteratura americana (John Cheever, David Foster Wallace, Richard Ford). La pratica artistica di Adelaide Cioni prende le mosse dal disegno, che assume poi dimensioni ambientali e installative, anche attraverso la realizzazione di "quadri tessili", in cui il colore si traduce nella materialità del tessuto. Tra le tematiche della sua ricerca ricorrono il rapporto con lo spazio, la memoria e gli oggetti.
Il suo trascorso come traduttrice dei capolavori della narrativa americana si rispecchia in un’attenzione particolare al linguaggio e alle sfumature contenute nel significato delle parole.
ENG
LZ: Can we still talk about painting, when sign and colour have the materiality of textile and time is the slow (and ritual) one of hand sewing?
AC: Yes and no. Yes, because I look for wool and fabrics exactly as I would look for painting colors. It is the color vibration that I seek to start working. But I would be lying if I said that it is a process identical to that of painting. For me, painting is a chasm, when you enter it you constantly risk sinking and loosing yourself. It frightens me and at the same time attracts me. After all, using fabric is also the way I have come up with to put some safety distance between me and painting. With fabric you can always move things, rethink. Sewing can be undone, however laboriously. But there are also things that painting cannot give me. In fabric there is texture, the physicality of different materials, the tactile element is immediately called into question as soon as you approach the canvas and recognize the wool. It also means that work is closer to the body, to three-dimensionality. There is also a mechanical element that I like, the cutting of the scissors, the irregularity of the line is caused by a non-human factor, something that lies between me and color, and it shows.
IT
LZ: Possiamo ancora parlare di pittura, quando segno e colore hanno la consistenza della materia tessile e il tempo è quello lento (e rituale) del cucire a mano?
AC: Sì e no. Sì perché cerco le lane e i tessuti esattamente come cercherei dei colori per dipingere. È la vibrazione del colore che cerco per cominciare a lavorare. Mentirei però se dicessi che è un processo identico a quello della pittura. La pittura per me è una voragine, quando ci entri corri costantemente il rischio di sprofondare e non trovarti più. Mi fa molta paura e al tempo stesso mi attrae. In fondo usare la stoffa è anche il modo che ho escogitato per mettere una minima distanza di sicurezza fra me e la pittura. Con la stoffa si possono sempre spostare le cose, ripensarci. Il cucito si può disfare, per quanto laboriosmente. Ma ci sono anche delle cose che la pittura non può darmi. Nella stoffa c’è la trama, la fisicità del materiale, l’elemento tattile è chiamato subito in causa non appena ci si avvicina alla tela e si riconosce la lana. Significa anche che il lavoro è più vicino a un’idea di corpo, di tridimensionalità. C’è anche un elemento di meccanicità che mi piace, nel taglio delle forbici, l’irregolarità della linea è provocata da un fattore non umano, qualcosa che sta in mezzo fra me e il colore, e si vede.
ENG
LZ: There is a Pop element in the subjects of your textile paintings, diluted in the apparent naïveté of your formal language. How do these icon images work?
AC: They are apparitions of common things that we have already seen many times without perhaps paying much attention to them. I call them secondary images because they are marginal compared to the main narrative (in fact, they are the non-narrative elements), so when we usually see them we don't pay attention, we don't pause to think about them, but we record them and somewhere inside us they remain engrained. And since they are common, we frequent them, and this impression takes root. When we see them again as the main subject of a painting, we experience a series of small shocks: recognizing an image that we already have in our memory without being aware of it; the sense of disorientation given by seeing a central role attributed to this marginal object; the unspeakable joy of recognizing something we feel we have inside, even if sometimes we can't even say exactly what it is.
IT
LZ: C'è una matrice Pop nei soggetti dei tuoi quadri tessili, stemperata nell'apparente naïveté del tuo linguaggio formale. Come funzionano queste tue immagini-icone?
AC: Sono delle apparizioni di cose comuni che abbiamo già visto molte volte senza magari farci molta attenzione. Io le chiamo immagini secondarie perché sono marginali rispetto alla narrazione principale (e anzi, sono proprio gli elementi non-narrativi), per cui quando le vediamo di solito non ci facciamo caso, non ci soffermiamo, però le registriamo e da qualche parte dentro di noi rimangono impresse. E siccome sono comuni, le frequentiamo, e questa impressione si radica. Quando le rivediamo come soggetto principale di un quadro proviamo una serie di piccoli choc: il riconoscere una cosa che abbiamo nella memoria senza che ne fossimo consapevoli; il senso di spaesamento dato dal vedere attribuire a questo oggetto marginale un ruolo centrale; la gioia indicibile del riconoscere una cosa che sentiamo di avere dentro, anche se a volte non sappiamo neanche dire esattamente di che si tratta.
ENG
LZ: You have dedicated to the theme of decoration a whole series of recent works, entitled Ab ovo, in which you reflect on the recurrence of certain decorative motifs, from Prehistory to the Renaissance, up to the present day. How do you deal in your work with the concept of decoration and how would you interpret it?
AC: I am interested in the apparent superficiality of decoration, the fact that it is repetitive, and that it uses motifs which are often already codified, often meaningless, the fact that it arises from the pure pleasure of images, to see and create them. And we have always practiced decoration, all over the world, in all ages, and therefore it is something that unites us as humans. I am interested in decoration because it never narrates anything. So what is it talking about? If I am not narrating anything, but I talk for hours, what am I saying? What's beyond storytelling? For an ex-literary translator like me this question is very interesting. Are we able to speak without narrating? It is very difficult, storytelling is a way of being-in-time, of giving time (and therefore death) meaning, and order. If I stop narrating I go into the abstract, the absolute, eternity, it is a strange anaerobic lightness.
IT
LZ: Hai dedicato al tema della decorazione tutta una serie di lavori recenti, intitolata Ab ovo, in cui rifletti sulla ricorrenza di certi motivi decorativi, dalla Preistoria al Rinascimento, fino ai giorni nostri. Cosa ti interessa in particolare del concetto di decorazione e come la definiresti?
AC: Della decorazione mi interessa l’apparente superficialità, il fatto che è ripetitiva, che usa motivi spesso già codificati, spesso privi di significato, il fatto che nasce dal piacere puro delle immagini, di vederle e di crearle. Il fatto che la pratichiamo da sempre, in tutto il mondo, in tutte le epoche, e quindi davvero ci accomuna in quanto umani. Mi interessa perché non narra mai nulla. E allora di che parla? Se non ti racconto niente però parlo per ore, che cosa ti sto dicendo? Cosa c’è oltre la narrazione? Per una ex-traduttrice letteraria come me è molto interessante. Siamo capaci di parlare senza narrare? È molto difficile, la narrazione è un modo di stare nel tempo, di dargli un senso, un ordine (e quindi di darlo anche alla morte). Se smetto di narrare entro nell’astratto, nell’assoluto, nell’eterno, è una strana leggerezza anaerobica.